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Dom, 05/03/2020 - 21:44

Pilastro di ArteffettoDanza fin dalla sua fondazione e con la danza classica nel proprio dna da sempre, Attilio De Gregorio si è formato prima a Messina presso l’Accademia filarmonica, poi a Reggio Emilia alla Scuola del Balletto Classico di Liliana Cosu e Marinel Stefanescu e infine ha seguito un corso di perfezionamento a Padova con Valentina Massini Apostolescu e Gabriel Popescu.

Ha ballato professionalmente interpretando vari ruoli da solista in molte realtà tra le quali la Compagnia di balletto Cosi/Stefanescu, il Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste, l’Arena di Verona e il programma RAI “Serate d’onore”. Ha cominciato la sua carriera d’insegnante nel 2005 presso l’Accademia A.R.T.S. di Messina, per poi tornare a Trieste nel 2010.

Attilio, che ad Arteffetto è il faro di tutti gli allievi dei corsi di danza classica amatoriale, vede la danza come ragione di vita e necessità e pensa di avere una fortuna enorme: “I frequentatori delle mie lezioni - dice - sono persone che hanno scelto quest’arte come momento irrinunciabile della propria giornata. Insegnare a loro mi dà forza, mi arricchisce. Sono meravigliosi perchè fanno i salti mortali pur di arrivare a lezione e in loro vedo grande passione e determinazione”.

 

  • Che cosa ti ha spinto a diventare insegnante?
    Mentre ballavo mi sono detto milioni di volte: “A me piace ballare ma non mi interessa insegnare”. In tanti me lo chiedevano, ma non mi sentivo adatto per questo compito. Dopo aver ballato per molti anni al Teatro Verdi di Trieste pensavo che avrei abbandonato la danza per dedicarmi a qualcosa di diverso, ma dopo 2 anni mi mancava l’aria, non potevo vivere senza e così ho cambiato la mia posizione rispetto all’insegnamento. In seguito, a Messina, ho avuto l’onore di incontrare una grande professionista, Iride Sauri, che mi ha insegnato ad insegnare; mi porterò dentro per sempre ciò che ho imparato da lei come approccio all’insegnamento.

 

  • Che ricordo hai delle tue prime lezioni da allievo?
    Sono state meravigliose, nonostante fossimo a Messina a fine anni ’70, per un bizzarro scambio culturale sono arrivate nella mia scuola due prime ballerine, Emilia Kirova e Svetlana Giumalieva, etoile dell’Opera di Sofia. Mi sono trovato un po’ più in difficoltà nella mia formazione successiva a Reggio Emilia, si respirava un’atmosfera eccessivamente rigida e severa, direi non necessaria. Anche qui però dal punto di vista tecnico/qualitativo è stata una grande esperienza.

 

  • Com’è stata invece la tua prima lezione da maestro?
    Mi sentivo totalmente inadeguato. Ho dovuto fare una grande marcia indietro, avrei potuto insegnare subito a dei professionisti, ma non ero pronto ad insegnare a dei ragazzi. Ho dovuto tornare alle basi, ricordare e riuscire a trasmettere tutto ciò che avevo imparato ad 11 anni.

 

  • Ci racconti qualche aneddoto divertente della tua carriera da danzatore?
    Direi un’evento particolare più che altro. Ho avuto l’opportunità di ballare in Vaticano in Sala Nervi alla presenza di Giovanni Paolo II per il Giubileo della famiglie. Nonostante il mio distacco totale dal mondo della Chiesa, è stata un’esperienza fortissima, piena di energia, data da quel posto unico e dal carisma di Giovanni Paolo II.
    Di episodi divertenti invece ne ho una collezione notevole. Ricordo ad esempio un minuetto con la mia collega Silvia Califano in “Un ballo in maschera”, in cui lei mi ha fatto da cane-guida. Avevo problemi di vista e non potevo mettere sempre le lenti perchè mi davano fastidio e mi provocavano congiuntivite. Quel giorno non le avevo e non vedevo davvero nulla, quindi Silvia mi avvertiva degli ostacoli da superare, ho ballato in braille praticamente. C’è un altro episodio che è rimasto nella storia del Teatro Verdi. Durante una replica de “La Vedova Allegra”, facendo un Temps de fleche ho lanciato un mocassino in orchestra e la cosa fantastica è che, subito dopo, l’orchestrale l’ha rilanciata sul palco... doppio lancio... Io e gli altri due ballerini vicini a me (Corrado Canulli e Luciano Pasini) non siamo riusciti a trattenere le risate, dovevamo rimanere sul palco come controscena ancora un po’, ma abbiamo preferito anticipare leggermente l’uscita...

 

  • A che cosa stai lavorando in questo periodo e come si svolge la tua giornata tipo?
    Amo più la notte del giorno, quindi tento di svegliarmi più tardi possibile e poi passo molto tempo con i miei animali Gilda e Filippo e mi prendo cura della casa. Mi sono dato ad una nuova attività: il disegno su dei libri “anti-stress” che hanno colorato queste giornate particolari. Ovviamente la danza non manca mai in qualche modo nella mia quotidianità, ho avuto modo di guardare molti spettacoli online e in particolare guardo le cose che amo di più in varie versioni. Ad esempio ho cercato una delle mie scene preferite nel Don Chisciotte, (la scena del sogno) eseguita da molte compagnie diverse perchè volevo vedere come ognuna di esse la reinterpreta.

 

  • Qual è la cosa che ti manca di più del tuo lavoro in questo periodo di chiusura forzata?
    I miei allievi... Sono persone che sono lì per loro scelta, e apprezzo tutti i sacrifici che fanno pur di arrivare a lezione, magari arrivano tardi, ma arrivano e si impegnano al 100%.

 

  • Anche i maestri possono imparare qualcosa daI propri allievi, ti è mai capitato?
    Tutti i giorni. Io devo essere un bravo maestro e il mio scopo è trasmettere la danza vera a chiunque, ognuno poi può eseguirla con qualche inevitabile limite che io devo accettare. Devi avere la misura di chi hai davanti, imparo ogni giorno a rinventarmi con loro, ad adattare gli insegnamenti a seconda delle persone che ho di fronte.

 

  • Che consiglio daresti a chi vuole tentare di far diventare la disciplina che insegni il suo lavoro?
    Direi di andare all’estero perchè, rispetto all’Italia esistono molte più realtà professionali, più scuole, compagnie, enti e c’è una mentalità diversa anche nell’accompagnamento degli allievi. Devo dire però che la bellezza di Arteffetto è che diamo spazio sia a studenti amatoriali, sia a chi vuole intraprendere un percorso professionale. Mi pare che tra tutti gli insegnanti ci sia un occhio attento a queste persone nel seguirle, ma anche nell’indirizzarle nel percorso più adatto a loro al di fuori della nostra scuola.

 

  • La danza, e più in generale il mondo della cultura e delle associazioni sportive e culturali, sta attraversando un periodo particolarmente complesso. Qual è la tua visione e quali sono le tue speranze per il prossimo futuro?
    Mi aspetto che la gente porti pazienza, mi piacerebbe poter tornare subito alla normalità, ma è un momento di emergenza mondiale che va affrontato con i dovuti tempi e con la giusta cautela. La mia speranza è di poter ricominciare ovviamente prima possibile, di tornare presto ai nostri 5,6,7,8...

 

  • Qual è la prima cosa alla quale vorresti dedicarti quando torneremo a scuola?
    Tornare alla “normalità”, la “normale” lezione di danza, che in questo momento è un lusso inarrivabile.

 

  • Qual è il consiglio che ti senti di dare agli allievi di ArteffettoDanza in questa fase di lontananza dalla scuola?
    Di tenere la forma fisica, in qualsiasi modo vogliano e qualsiasi età abbiano. Si deve smettere di praticare danza solo se e quando si vuole, non per imposizioni di qualcun'altro o qualcos'altro. Ricordo che dopo una prova di “Coppelia” al Teatro Verdi di Trieste ho subito un pesante infortunio, ho rotto i legamenti crociati. La prima cosa che ho chiesto è quando sarei potuto tornare a ballare. Mi è stato detto che non si sapeva neanche se sarei tornato a camminare... Dopo 9 mesi ero sul palco a ballare “Lo Schiaccianoci”. Danza è prima di tutto determinazione. Quindi anche in questo periodo difficile, consiglio piuttosto di tornare indietro, anche agli adulti consiglio di fare esercizi semplici, per mantenersi in forma e pronti a tornare in sala più forti di prima appena si potrà.

 

Laura Sartori

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